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Ogni vita merita un romanzo: la narrazione in psicoterapia (prima parte)

Tutte le vite possono essere raccontate come un romanzo, ognuno di noi è il protagonista della sua leggenda.
Isabel Allende

Raccontare e raccontarsi è ciò che permette di ordinare i pezzi della propria vita. Per elaborare le esperienze, conoscere e farsi conoscere, è fondamentale affidarsi ai racconti, anche se c’è chi ignora di essere interessante.

A questo proposito, Polster nel suo libro “Ogni vita merita un romanzo” propone un legame possibile tra terapia e narrazione, mettendo insieme due sistemi di comprensione della vita: la letteratura e la psicoterapia. Polster parla del fascino che è proprio della vita di ogni persona e di come la scoperta, la percezione di tale qualità, sia di per sé terapeutica. In questo senso individua nel romanziere un “compagno di strada” per lo psicoterapeuta, un artista che conosce bene il potere e i meccanismi della fascinazione insiti nella narrazione.
I romanzieri sono, infatti, tra gli artisti, quelli più capaci di individuare e di descrivere proprio le esperienze che molte persone escludono dalla propria consapevolezza individuale. In ugual modo “per lo psicoterapeuta… tutto ciò che avviene in seduta possiede analoghe potenzialità… e utilizzando lo stesso processo di selezione creativa caratteristico del romanziere, mette in rilievo le esperienze cruciali, facilitando in questo modo l’affiorare del dramma”.
Il romanzo è più vicino alla sfera dell’esistenza individuale reale di quanto non lo siano le altre forme di arte. Infatti, dentro ciascuno di noi si compie una narrazione continua. E attraverso il racconto si dà vita a qualcosa che è già avvenuto. “Il terapeuta si affianca al romanziere nel dare grande importanza a una piccola selezione ricavata dal complesso dei fatti, prendendo ciascun evento non solo per quello che vale in se stesso, ma anche per il significato che acquisisce in una prospettiva allargata…”. Ecco l’importanza della narrazione: gli eventi che vivono dentro di noi sottoforma di storia permangono. Infatti, “affinché l’avvenimento più comune divenga un’avventura è necessario e sufficiente che ci si metta a raccontarlo”.

Il processo di narrazione del paziente può essere favorito dallo psicoterapeuta che deve sia lasciarsi trasformare dal racconto, sia mantenere le capacità di controllo e di intervento affinché non vengano meno tre elementi essenziali per il cambiamento: la coerenza, la direzione e la tollerabilità e cioè che ogni elemento della storia abbia una sua collocazione, che sia chiaro sia al terapeuta sia al paziente l’obiettivo verso cui procedono, e che abbiano consapevolezza del livello di sofferenza o disagio che la persona riesce a sostenere.
Il racconto delle storie può anche aiutare a scaricare l’energia accumulata quando non è possibile l’azione diretta. In psicoterapia, questo bisogno è stato riconosciuto in tutta la sua importanza. La terapia della Gestalt, per esempio, si fonda sul presupposto che la vita di ognuno di noi sia condizionata dal bisogno impellente di completare le situazioni lasciate in sospeso, e che per rimettersi al passo sia necessario sfogare questa energia bloccata.
Nel processo di narrazione è presente l’esperienza della transizione e cioè la consapevolezza del trascorrere del tempo che dà misura del valore della vita. Quando si concentra l’attenzione su ciò che sta per avvenire si crea la suspense. Spesso il paziente tende ad evitare la suspense mantenendo una situazione di fissità che è più “comodo” sostenere. Sta allo psicoterapeuta introdurre elementi di suspense più tollerabili in modo da aiutare il paziente a considerare la possibilità di cambiamento per il  futuro. Il cambiamento, infatti, nel modo di raccontare la propria vita passata, può avere una grande funzione trasformativa sulla vita presente e futura, contattando aspetti di sé che, diventandone consapevoli, da ostacoli e vincoli, diventano risorse. A. Ferro nel libro “Evitare le emozioni, vivere le emozioni” ha messo in evidenza l’importanza della capacità narrativa per la salute mentale e fisica. L’autore sostiene che, per essere vissute, le emozioni necessitano di un lavoro finalizzato al renderle assimilabili, gestibili, contenibili, e ciò viene permesso dal tradurre in storie ciò che ci pervade dal punto di vista emotivo. “Sia il romanziere che lo psicoterapeuta sono impegnati nel compito di ripristinare la consapevolezza là dove essa manca, o rafforzarla in modo da trasformarla in un aiuto efficace e vantaggioso per affrontare la vita”. Entrambi cercano di portare l’attenzione della persona su quegli eventi e quelle esperienze che essa trascura. Solo attraverso la presa di consapevolezza la persona può prendere le sue decisioni in autonomia. Lo psicoterapeuta va, pertanto, considerato un “rammagliatore di storie lacerate, un tipografo e talvolta, prima ancora, l’impastatore della carta”. Ferro afferma che una psicoterapia possa concludersi quando la persona introietta la capacità di tessere in emozioni e pensieri quanto le giunge da ogni tipo di esperienza che fa con se stessa, col proprio corpo, con gli altri e con la vita. Ciò significa sciogliere il dramma invisibile in narrazioni possibili, in quanto la narrazione organizza la struttura dell’esperienza umana.

Ecco che l’incontro terapeutico è tale se diviene incontro tra due “narrazioni” (quella della persona in terapia e quella del terapeuta), tra le quali avviene uno scambio di informazioni continuo, in modo che entrambe contribuiscano a scegliere i fili di una nuova narrazione e in questo modo a “costruire” la realtà terapeutica. Si tratta, dunque, di incontro in cui la sofferenza può essere alleviata, e i nodi problematici possono dipanarsi, grazie alla ricerca comune di altri significati possibili, di nuove strade individuabili, in modo da far emergere altre storie, altre possibilità tra le quali poter effettuare scelte nuove e consapevoli.


Dott.ssa Irina Boscagli
Psicologa Psicoterapeuta a Firenze

Dott.ssa Irina Boscagli

Psicologa Psicoterapeuta a Firenze
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