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Ogni vita merita un romanzo: la narrazione in psicoterapia (seconda parte)

E quando trovi il coraggio di raccontarla, la tua storia, tutto cambia. Perché nel momento in cui la vita si fa racconto, il buio si fa luce e la luce ti indica una strada.
F. Ozpetek

Una delle funzioni primarie della terapia consiste anche nel trasformare le immagini guida alle quali il paziente ha ispirato la propria vita e che ormai sono invecchiate. E la metafora è un tipo particolare di immagine guida, che “coagula gran parte della vita dell’individuo in un’unica immagine rappresentativa. Questa immagine mette in rilievo un tema dominante, e se la scelta di tempo è giusta può portare alla rivelazione delle storie che ne rappresentano il presupposto”. Questo comunica al paziente che esse hanno un valore e che sono bene accolte dal terapeuta.

In ognuno di noi coesistono tante “persone”.  L’intervento del terapeuta deve quindi essere quello di aiutare il paziente a riconoscere le diverse parti e a dare loro diritto di cittadinanza, cioè accoglierle, ascoltarle ed integrarle tra loro. Poiché la rimozione di alcune parti può essere fonte di disturbo psichico, il metterle in comunicazione fra loro consente alla persona di recuperare l’armonia interiore. Il dialogo interno e il contatto tra le parti consente anche di riconoscere come le une abbiano bisogno delle altre e assolvano a bisogni interni. E nella narrazione il terapeuta può cogliere alcuni tipi di impedimento al dialogo interno tra cui le divagazioni, l’ostruzionismo, l’eccessiva accondiscendenza, il fraintendimento e la scarsità di reazioni, che indicano la presenza di una difficoltà di contatto con parti interne. Due strategie terapeutiche che facilitano il ripristino della comunicazione interna interrotta sono la “sedia vuota” e la “fascinazione”. Quest’ultima, in realtà, è più che una strategia, una condizione che facilita ogni relazione terapeutica. Il terapeuta, infatti, è colui che, oltre che cercatore di significati, si lascia affascinare dalla narrazione, in quanto è interessato all’esperienza altrui. Questa sensibilità produce un duplice effetto: facilita il rapporto e ne favorisce la produttività; inoltre, se pienamente recepita, si trasferisce al paziente che la ritrova anche in se stesso scoprendosi affascinato dalle vicende della propria vita. La “sedia vuota” consiste nel proporre al paziente di immaginare la propria parte, oppure persone della sua vita come se fossero presenti, immaginandole sulla “sedia vuota” appunto. Così la seduta stessa diventa un luogo di comunicazione diretta dove si ripristinano dialoghi spezzati.

Polster, quindi, propone l’idea che se ci si accosta con interesse ai racconti di vita, si può individuare l’unicità dell’esperienza umana, anche in eventi apparentemente privi di significato. Non è facile dire in che cosa una storia consista; la vita stessa è narrazione in quanto storia. Le nostre vite sono, infatti, incessantemente intrecciate alle narrazioni, alle storie che raccontiamo o che ci vengono raccontate, a quelle che sognamo o immaginiamo o vorremmo poter narrare. Tutte vengono rielaborate nella storia della nostra vita, che noi raccontiamo a noi stessi in un lungo monologo, episodico, spesso inconsapevole, ma virtualmente ininterrotto.

Penso sia bello e giusto pensare alla vita come ad un romanzo. E nel riuscire a farsi leggere e, quindi, a lasciare tracce di noi sta la rivelazione del peso del nostro esistere per gli altri. Bisogna rendersi “leggibili” agli altri, bisogna che le persone a cui si tiene siano messe in condizione di poterci leggere. Trasmettere loro le nostre “storie” è il senso del nostro bisogno di socialità. Ed è questo che noi vogliamo: assecondare quest’istinto, creare intorno a questo un desiderio di vita. Creare intorno alla necessità di comunicare un desiderio di vita significa parlare con i nostri organi per ascoltarne i bisogni, ascoltare la nostra anima, come dice Hillman in “Le storie che curano”, per leggerne i sogni. Soltanto aprendoci a noi stessi, potremo sperare di farci ascoltare con partecipazione dagli altri. E così come il libro diventa romanzo se scrivendolo abbiamo saputo sviluppare la complessità degli animi dei personaggi, dovremmo sentirci male se rileggendo il romanzo scritto da anni, ci accorgessimo di non aver trattato le nostre pagine col dovuto rispetto. Infatti, anche se scrivere serve soprattutto a chi scrive, abbiamo tutti bisogno di essere capiti. E’ importante scrivere, quindi con un linguaggio semplice a noi stessi, e chiaro per coloro che vogliamo che ci accettino. Ascoltare le nostre parole dalla bocca di chi ha letto il romanzo che abbiamo scritto deve darci la gioia di essere riusciti a parlare al mondo che ci riguarda nel modo che più è nostro.

Polster ci parla anche delle difficoltà che può avere una persona nell’attribuire valore alla propria storia e nel raccontarla ad altri. L’autore propone il riconoscimento proprio di questa difficoltà come chiave di volta nel processo terapeutico, individua i segnali della sua presenza e propone delle strategie efficaci a fare emergere i contenuti nascosti.
Polster, come Hillman, vede, quindi, la psicoterapia come un processo estetico-artistico. Il terapeuta deve usare gli stessi criteri selettivi e costruttivi che usa uno scrittore nel produrre una storia, allo scopo di aiutare il cliente a “riscrivere” la sua biografia. E’ in questo modo che all’interno del setting psicoterapeutico si produce una storia di cui terapeuta e cliente costituiscono i co-narratori. Si può individuare nell’attività del narrarsi il fulcro del processo terapeutico, in modo che l’uomo costruisca e ricostruisca i propri mondi narrandoli. Si scopre così l’importanza fondamentale che il narrare riveste nella continua ridefinizione di un’identità. La terapia viene vista come un racconto, come un romanzo, come un’opera d’arte.
Una volta assunto che la narrazione può costituire un veicolo di cambiamento, è lecito notare come ci siano narrazioni (modi di rappresentarsi) più efficaci di altre, e che spesso non è sufficiente un semplice narrarsi per promuovere un cambiamento. Ecco perché è importante comprendere in quale modo la narrazione produce dei cambiamenti, come le storie curano e in quali circostanze un tipo di narrazione può essere efficace.
Questo meraviglioso libro di Polster rappresenta un invito a guardare la propria vita proprio come meritevole di essere raccontata e racchiusa in un romanzo. E propone, anche, di considerare il processo terapeutico come una possibilità di rileggere le pagine della propria vita, divenendo consapevole che si può scegliere come scrivere quelle successive!


Dott.ssa Irina Boscagli
Psicologa Psicoterapeuta a Firenze

Dott.ssa Irina Boscagli

Psicologa Psicoterapeuta a Firenze
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