“Non bisogna rovinare il bene presente col desiderio di ciò che non si ha, ma occorre riflettere che anche ciò che si ha lo si è desiderato.”
Epicuro
È arrivato il fatidico 4 Maggio! Atteso, invocato come un miraggio soprattutto da chi ha vissuto la lunga quarantena come una forzatura claustrofobica. Questa data ha rappresentato per molti la luce, l’uscita dal tunnel delle costrizioni limitanti la propria libertà. E, certamente, insieme a questo ha portato con sé speranze e fiducia: speranza di ritornare al più presto alla tanto agognata normalità e fiducia nella possibilità di riprendere in mano la propria vita bruscamente interrotta due mesi fa dall’emergenza Coronavirus.
Ma la cosiddetta Fase 2 non significa solo questo. Nel mio lavoro mi confronto quotidianamente con persone che si affacciano alla ripresa della cosiddetta normalità con inquietudine, con senso di spaesamento. Cosa strana? Per tutti strano, improvviso, inaspettato, drammatico è stato il passaggio precedente, quello dalla normalità alla fase 1. Ma non è né strano, né incomprensibile neanche lo stranimento attuale. Gli esseri umani hanno una grande capacità di adattamento, spesso al di sopra della propria consapevolezza, e, anche ciò che è stato inizialmente fonte di smarrimento e di grande preoccupazione generale, può aver portato ad adattarsi alla nuova realtà più facilmente di quanto si pensasse. Non solo, gestita la grande paura del contagio, può essere stata un’occasione per focalizzare quegli aspetti della propria vita che non piacevano, che non erano fonte di benessere. Più di una volta in questi giorni mi sono sentita dire, quasi sottovoce con la consapevolezza di essere fuori dal coro (come degli alieni! E a volte sentendosi in colpa per questo) di aver scoperto tante cose della vita di prima che non erano state davvero scelte, e di cui, adesso che non ci sono state per due mesi, non si è sentita la mancanza quando si pensavano, invece, indispensabili.
Quindi, da una parte, si è sperimentato una serenità inaspettata durante la fase 1, dall’altra adesso ci si trova ad affrontare sensazioni di confusione, tristezza, ansia, tanto quanto durante la quarantena col suo carico di drammaticità.
Sicuramente, al di là degli effetti psicologici soggettivi sulle persone, nel corso del lockdown si sapeva bene cosa si poteva e non si poteva fare e a cosa si stava rinunciando. Ciò conferiva chiarezza e percezione condivisa delle priorità, che indubbiamente alimentavano il senso di appartenenza e l’agire per il bene comune.
Dal 4 Maggio la maggior libertà di movimento (si possono andare a trovare i congiunti, si può tornare a correre allontanandosi dalla propria abitazione, molte attività tornano ad essere aperte…), sebbene nel rispetto delle fondamentali norme di sicurezza, genera una sorta di stato di mezzo, una specie di interregno, un ibrido non troppo chiaro tra il possibile e il vietato che può lavorare emotivamente dentro ognuno di noi e far sentire quell’inquietudine di cui parlavo prima.
C’è, quindi, la necessità di sperimentare un’integrazione: riaprirsi al futuro con la speranza di sconfiggere definitivamente il nemico invisibile (Coronavirus) e riprendere in mano la propria vita, riappropriandosi, però, di alcune preziose abitudini che ci apparivano lontane nel tempo e ormai non più praticabili. Potremmo, per esempio, avvicinarci all’idea di riprendere quel libro che pensavamo di non aver il tempo di leggere, dedicare un tempo migliore (di qualità) al fare attività in casa coinvolgendo i figli che ormai hanno imparato a godere del tempo anche tra le mura domestiche, continuare a preparare una torta a settimana, e così via.
Potremmo, nelle fasi che si succederanno e che ci allontaneranno dall’emergenza non scordarci della lentezza e provare a ricercarla. Potremmo vivere le nostre giornate dando loro un valore diverso, forse dimenticato: il valore che sta nella forza e nell’importanza delle piccole cose quotidiane vissute senza affanno.
Del resto, il sistema socio economico in cui siamo immersi, così tanto incentrato sui consumi e sull’efficienza è stato, in fondo, capace di implodere a causa dei propri eccessi. Due mesi di chiusura forzata hanno fermato il mondo pregiudicandone la capacità di ripartire a breve.
Quindi, senza rischiare di perdersi in inutili suggestioni anacronistiche paventando un modello di sviluppo non globalizzato, possiamo fare noi di noi stessi esseri più attenti, calmi ed innamorati anche della felicità che non si compra.
Dott.ssa Irina Boscagli
Psicologa Psicoterapeuta a Firenze
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